I Judenrat
_____________ PERSONAGGI TRAGICI O COLPEVOLI PER SEMPRE?
di Wolf Murmelstein
Si riprende a discutere sugli Judenrat, gli esponenti ebraici che all’epoca della Shoah dovettero rappresentare le loro comunità di fronte alle autorità nazi-fasciste. In queste pagine la parola passa alla difesa che affronterà alcune questioni basilari.
1. Come si divenne Judenrat?
I nazi-fascisti nominarono di solito dirigenti delle Comunità o delle varie organizzazioni ebraiche; vennero preferiti uomini giovani o giovanili. Eichmann volle, perfidamente, sfruttare l’esperienza dei dirigenti sionisti riguardo all’emigrazione. In seguito, nei ghetti, vennero nominate pure persone che in precedenza erano state lontane dalle comunità ebraiche o non ne avevano neanche fatto parte. Nei paesi occupati la conoscenza della lingua tedesca era decisiva. A Vienna, nel 1938, il dirigente venne nominato, con l’ingiunzione di organizzare l’emigrazione, dopo essere stato per qualche settimana agli arresti. A Praga, nel 1939, venne nominato dirigente l’unico funzionario presente nella sede della Comunità il giorno dell’entrata delle truppe naziste. A Lodz il famoso Rumchovski venne designato, pare, solo per un caso. In Lituania, nel 1941, per ordine dei rabbini, si ebbero casi di designazioni in base a sorteggio.
2. Accettare la nomina a Judenrat oppure seguire un atteggiamento di “non partecipazione”?
Sappiamo che in Lituania i rabbini ortodossi ritennero che l’accettazione della nomina a Judenrat era un dovere. Da questo responso deriva che chi dopo il 1933 aveva messo a disposizione della propria Comunità capacità organizzative, prestigio, contatti con personalità influenti, competenze professionali, ecc. - perdendo spesso l’opportunità di mettersi al sicuro – è persona che ha compiuto il proprio dovere. Nell’Ottobre 1941 il Rabbino Ytzhak Shapiro di Kaunas/Kovno nel proprio responso statuì che se il nemico aveva deciso la morte di un’intera comunità e, con un mezzo o un altro, si può salvarne una parte, allora i dirigenti devono raccogliere tutte le proprie forze spirituali e salvare quella parte. In effetti, era molto gravoso, psichicamente e non solo, dover decidere chi inserire in un gruppo per l’emigrazione oppure nella lista di coloro per i quali si chiedeva – e con motivazioni opportune - l’esenzione dalla deportazione. Si ricorda pure l’opinione di un altro rabbino che “la legge del regno è legge, anche se è una cattiva legge”.
L’opinione, molto diffusa, sostenuta da persone che all’epoca stavano al sicuro, che gli esponenti ebraici avrebbero dovuto seguire un atteggiamento di “non partecipazione” appare quindi come effetto d’influssi non ebraici e segnati dall’ignoranza delle circostanze.
Infatti, chi sostiene questa tesi dimentica che, all’epoca, i regimi nazi-fascisti erano soggetti riconosciuti di diritto internazionale; Hitler era arrivato al potere in modo formalmente costituzionale, per ignavia dei politici “democratici” tedeschi. I visti per l’emigrazione – verso la salvezza – vennero posti dai vari consoli stranieri sui passaporti rilasciati dalle autorità naziste o degli stati a regime nazi-fascista. La Croce Rossa Internazionale dovette trattare con la SS per tramite del console generale germanico a Ginevra per ottenere l’accesso ai Campi di Concentramento e poter salvare i sopravvissuti e, poi, fino all’ultimo (8 maggio 1945) con i vari comandi tedeschi.
3. Quali problemi dovettero affrontare i Judenrat?
Con le norme che limitavano i diritti degli Ebrei si ebbe un progressivo impoverimento che rese necessario organizzare e gestire, con sempre meno mezzi, sevizi di assistenza e di educazione che dovevano soddisfare bisogni sempre più grandi. Si aggiunse la necessità di assistere, in vari modi, coloro che si decisero all’emigrazione. A partire dal 1938 l’emigrazione dovette venire organizzata affrontando difficoltà crescenti e si dovettero assistere i detenuti ebrei nei campi di concentramento. Negli insidiosi rapporti con la burocrazia nazi-fascista l’assistenza, in varie forme, da parte delle organizzazioni ebraiche era vitale per il singolo. Nel 1939, a Nisko in Polonia, Eichmann tenne un discorso circa la necessità di eseguire lavori di costruzione di alloggi, servizi ecc. concludendo il discorso con le parole: “altrimenti tocca morire”. Ne derivò che nei ghetti, oltre ai lavori per gli SS da eseguire in tempi brevissimi, erano da eseguire i lavori necessari per alleviare in qualche modo le condizioni di vita perché, altrimenti …. Il reclutamento di gruppi di lavoro per lavori esterni sembrò all’inizio utile per la sopravvivenza: il fatto che ne derivò la selezione per i trasporti era tragico, ma non è imputabile ai Judenrat. Nelle Comunità e nei ghetti il Dirigente si trovò di fronte al problema di controllare l’operato dei collaboratori allo scopo di impedire prepotenze ai danni dei più deboli e arginare l’inevitabile corruzione. Era poi vitale mantenere il segreto su senso e particolari di ogni azione per la salvezza comune ed era quindi necessario uno stretto controllo sui contatti dei singoli con militi SS che cercavano delatori, più o meno consapevoli. Nel Ghetto di Theresienstadt il dirigente Murmelstein, per una richiesta di rendere meno gravosa una certa disposizione, ebbe dal comandante Rahm: la risposta eloquente: “La vostra gente ciarla decisamente troppo”.
4. Come stava un Judenrat di fronte all’ufficiale SS?
Erano incontri tra chi odiava in nome di un’ideologia e chi invece era odiato. Un Judenrat aveva come interlocutori ufficiali SS di rango non elevato con scarsi poteri decisionali e che erano, pure loro, spiati da delatori fra i loro “camerati”. Il Dirigente ebreo faticava a comprendere che in quell’ambiente si doveva parlare in un modo opportuno, certamente non nella lingua dei poeti e dei pensatori. Valevano le massime “Per la faccia vostra non studieremo il tedesco come Goethe” e “le promesse valgono solo se mantenute”. Cosi il Dirigente ebreo che credeva di aver ottenuto una concessione dopo un po’ doveva, invece, accorgersi dell’inganno.
Il Dirigente ebreo doveva presentarsi giornalmente al rapporto – e ogni rapporto quotidiano poteva essere l’ultimo – stare in piedi per ore e ricevere ordini espressi in modo rude. Obiezioni non erano possibili e richieste per la concessione di qualche attenuazione dovevano venire motivate in modo comprensibile per un ufficiale SS; e se l’attenuazione non veniva concessa? I Judenrat stavano fra il martello degli ordini SS e l’incudine delle aspettative (legittime si, ma non realistiche) degli altri internati. Lo stress psichico derivante da una simile situazione deve venire considerato prima di formulare giudizi.
In alcuni stati alleati di Hitler era possibile l’accesso a funzionari e politici con maggiore potere decisionale. In Bulgaria era stato possibile salvare l’intera comunità e in Romania una gran parte; in Slovacchia era stato possibile far interrompere le deportazioni corrompendo alcuni personaggi. A Budapest, nel 1944, era stato possibile contattare, e ottenere aiuto, i rappresentanti diplomatici di alcuni stati neutrali (Svizzera, Svezia, ecc.).
5. Le accuse contro i Judenrat.
In un’intervista il Presidente del Tribunale del Popolo di Litomerice parlò di accuse frutto di mania di persecuzione ed isterismo che, fra altro, avevano sottratto tempo e mezzi alla ricerca di criminali molto più importanti. Molte dichiarazioni, prese in considerazione dagli storici, non possono essere considerate testimonianze ma solo accuse, spesso neanche presentate a tempo debito ai competenti tribunali. Quasi mai gli “storici” valutano simili dichiarazioni in rapporto alla posizione di chi le ha rese e alla sua possibilità di avere notizie certe. Relazioni di ufficiali nazisti e istanze presentate da dirigenti ebrei vengono interpretate, fuori dal contesto storico, quali prove di colpa. Frammenti di diari e lettere, che riportano opinioni personali di astio, sono presentati quali testimonianze a carico. Si arriva anche a negare il valore di decisioni giudiziarie di proscioglimento o archiviazione con il pretesto “la storia non si fa nei tribunali”. Le accuse, spesso di evidente assurdità, sono state utilizzate da personaggi, e organizzazioni, che all’epoca di “quelle tenebre”, stando al sicuro, erano spettatori e volevano distogliere l’attenzione dalla loro incapacità di intraprendere una qualsiasi azione utile per aiutare coloro che invece stavano nell’inferno nazista. Quasi tutti i Judenrat avevano subito il martirio.
Dalla criminalizzazione dei pochi Judenrat sopravvissuti – che avrebbero potuto fornire notizie utili al tempestivo recupero dei beni ebraici – si sono giovate banche e assicurazioni. Profittatori che si erano appropriati di aziende e immobili potevano “sistemare la situazione” con accordi iniqui oppure tenersi il maltolto del tutto indisturbati.
Infine, il parlare di colpe ebraiche giovava dopo il 1945:
A coloro che volevano distogliere l’attenzione dalle responsabilità staliniane – gli accordi dell’agosto 1939 – per l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e l’intensificarsi della Shoa.
Permise di arruolare nelle proprie file persone compromesse con i regimi nazi-fascisti; ciò vale, specialmente, per i vari regimi e partici comunisti.
Queste accuse sono utilizzate dagli “storici” negazionisti per negare sia il numero delle vittime oppure l’esistenza stessa delle Camere a Gas.
Ad alcuni oscuri personaggi che si erano impadronite dopo il 1945, per i propri fini, delle Comunità Ebraiche.