L’ULTIMO SEDER A BERGEN BELSEN

 

“Questa sera devi parlare in tutte le baracche” mi disse la mattina della vigilia mia moglie al momento di incontrarci. “Cosa dovrei però dire” le risposi “80% delle persone sono malate di tifo o di sfinimento. C’è la quarantena, manca quasi del tutto il pane. Poi, da 10 giorni ci viene fornito non più di un quinto delle razioni stabilite. Non c’è più niente da spalmare sul pane e  non parliamo del burro. Lo sai che ho parlato in occasione di tutte le Feste.  Nelle baracche ci saranno  piccole riunioni. Ricorda le feste per bambini a Chanukkah e Purim che sollevavano il morale di piccoli e grandi. Ricordati che la prima sera di Chanukkah, nei dormitori, nella sala dei malati e nel ricovero dei bambini vennero accese le luci. E non era un’esclusiva degli ortodossi perché vi hanno partecipato ebrei di tutte le tendenze; un fatto non trascurabile in uno dei più famigerati Lager della Germania. Segno della volontà di vivere e della forza degli ebrei appartenenti a 45 nazioni e ristretti nelle baracche in condizioni inumane!

Ma parlare oggi, quando dovrei dire “Ognuno che viene venga a mangiare con me” – No, ciò è troppo difficile per me. Anch’io sono solo un essere umano, e non abbiamo scorte per poter dare un po’ di supplemento ai malati ed agli esausti. Se parlo, dovrò dire tutto ciò.”

“Ma proprio per questo devi parlare; e questo verso della Haggada deve essere la linea guida del tuo discorso” mi rispose mia moglie nel suo tono sempre calmo e convincente.

Eravamo stati invitati a celebrare il Seder nella baracca dei bambini. Visitai quella sera tutte le baracche del nostro gruppo – i nove gruppi del Lager Bergen Belsen erano separati fra di loro da barriere di filo spinato – e dissi brevemente:

“E’ assurdo citare il verso della Haggada chiunque venga e mangi con noi perché qui è vero il contrario. Tutti abbiamo fame. La “Direzione” non ha più niente da darvi. Per i rifornimenti alimentari la situazione è tristissima. Non ho pane da darvi, solo a parole posso farvi coraggio. Tenete duro questi ultimi cinque minuti; sono gli ultimi. Pur non potendo leggere i giornali o ascoltare la radio; noi lo sentiamo. Siamo fra i pochi ebrei europei che, forse, sopravvivranno a questo massacro. Dobbiamo tenere duro, perché dobbiamo aver parte nel Rinascimento del nostro popolo ebraico. Abbiamo visto il tramonto di molti popoli. Anche dopo questa guerra per noi, che abbiamo avuto fatto tanti sacrifici, il sole tornerà a splendere. Avevo timore di parlarvi cosi questa sera, ma vedendo al momento di entrare in questa baracca, come in tutte le altre, sui pochi tavoli e sui letti le candele accese  con i piccoli gruppi riuniti per celebrare il Seder questo discorso mi venne facile dato che potevo vedere che voi sentite come me.” Omen da parte degli Ashkenaziti e Amen da parte degli Sefarditi erano ovunque le forti risposte alle mie parole.

Dopo aver parlato in questo modo per dieci volte raggiunsi la baracca dei bambini dove si era atteso il mio arrivo per iniziare lo Seder. Ero molto sorpreso – e ancora oggi sono orgoglioso - per quanto offerto da adulti ebrei a bambini ebrei, malgrado tutte le sofferenze e umiliazioni.
Un tavolo mirabilmente arrangiato, posti a sedere, due file di banchi,  i piani inferiori dei letti a castello a tre piani. Erano stati invitate alcune famiglie tra cui i figli di un Rabbino Capo, da poco morto di stenti insieme alla moglie, e la vedova di un altro rabbino. I bambini, circa 30, portavano i loro migliori “vestiti da Lager” e sedevano lieti intorno al tavolo. Il Sig. Birnbaum tenne il Seder in modo tradizionale dando tutte le spiegazioni e rispondendo alle domande dei bambini. Il Vasoio da Seder era conforme alle regole, ovviamente tutto era “di sostituzione”.

Dopo la prima parte c’era da mangiare; veramente magnifico e con diverse portate. I visi sia dei bambini che dei grandi erano raggianti grazie alle opere d’arte della Signora Birnbaum che, con l’aiuto delle figlie, aveva curato il benessere fisico dei partecipanti. Pure il “vino” era ottimo anche se “di sostituzione”.

A Bergen Belsen, durante gli ultimi 15 mesi, ci cibavamo essenzialmente di cavoli e altri tipi di rape. Quella sera riconobbi il valore delle rape. Quanto portato in tavola – il mangiare e vino ciòè il succo - era al 90% in base di rape trasformate dall’arte della Signora Birnbaum.

La seconda parte del Seder era solenne quanto la prima e non ricordo di aver sentito un canto cosi bello come quello di questi bambini. Al termine dicemmo tutti insieme “Leshana Haba’ah Birushalaim” – L’ANNO PROSSIMO A GERUSALEMME.

Eravamo emozionati quando lasciammo la baracca dei bambini per tornare alla “Realtà”.

Accompagnai mia moglie e mio figlio alle loro baracche e dopo andai in ufficio per compilare con i miei collaboratori la lista quotidiana dei morti in tutto il Lager. Dei 596 morti del giorno circa 500 erano ebrei.

  

EPILOGO
Qualche giorno dopo l’ultimo Seder in prigionia i nazisti organizzarono il trasferimenti degli ebrei da Bergen Belsen verso Theresienstadt/Terezin che, fino ad allora, era stato tenuto come Ghetto Modello.

Da Bergen Belsen partirono tre trasporti - dei quali due  arrivarono a Theresienstadt/Terezin qualche giorno dopo che quel Ghetto era stato visitato dalla Croce Rossa Internazionale, dopo il rilascio verso la Svezia del gruppo degli ebrei danesi e, in ultimo, dopo una parodia di rivolta inscenata ad opera di agenti provocatori. L’epidemia di tifo petecchiale fra i nuovi arrivati, secondo i nazisti, doveva estendersi alla popolazione di Theresienstadt/Terezin; questo disegno diabolico non si realizzò nella misura voluta solo per  la rigorosa quarantena istituita dallo Judenaelster Murmelstein.

Il terzo trasporto -  sul quale si trovava Josef Weiss e famiglia - venne liberato dall’Armata Rossa il 23 aprile 1945 in un villaggio in Sassonia..
Molti morirono durante il viaggio per le condizioni inumane, lo sfinimento e il tifo; molti altri anche dopo essere stati liberat; fra loro anche la moglie di Josef Weiss (Emma) e il Rabbino di Salonicco Zwi Koretz Bergen Belsen venne liberato il 15 Aprile 1945 dall’esercito inglese che trovò molti morti e pochi Sopravvissuti che erano in condizioni indescrivibili.

Secondo la testimonianza pubblicata sulla BBC,  trasmissione radiofonica verso gli Stati Uniti, ripresa dalla Radio di Israele, in occasione  del primo Shabbat il Rabbino L .H ..Hartman (presso  la seconda Armata dell’Esercito Inglese) organizzò una funzione alla quale parteciparono alcune centinaia di sopravvissuti. Alla fine della Preghiera questi sopravvissuti – con la gioia per la loro liberazione ma col lutto per i loro cari assassinati – fecero lo sforzo di cantare in coro HATIKVA (Speranza) e esclamarono tutti” IL POPOLO D’ISRAELE VIVE”.

Weiss era riuscito a compilare e conservare  una lista dei morti fra gli ebrei olandesi di Bergen Belsen. Ciò rese possibile alla Croce Rossa Olandese di pubblicare la lista dei Sopravvissuti ma anche il rilascio dei certificati di morte di coloro che non erano più tornati. Ciò era un grande merito perché su Bergen Belsen non sono possibili resoconti precisi; gli archivi vennero infatti distrutti dai nazisti prima dell’arrivo degli inglesi.

 JOSEF (JUPP) WEISS

Nato a nel 1893 a Flammersheim, in Germania, uno di nove figli di una famiglia osservante.
Dopo la frequenza della scuola elementare e di un apprendistato professionale si trasferisce a Colonia presso parenti proprietari di una società di grandi magazzini, MICHEL & Co. Combattente nella Prima Guerra Mondiale, diventa sottoufficiale e viene decorato. Dopo la guerra torna a Colonia e diventa Capo del Personale nella società dei parenti, aderisce al movimento sionista, si sposa e diventa padre di due figli maschi.

Nel 1933 viene arrestato dalla Gestapo e tenuto in prigione per alcuni mesi. Appena liberato si trasferisce in Olanda con la famiglia e diventa socio di una fabbrica di articoli di pelletteria. Nel Movimento Sionista d’Olanda si dedica alle organizzazioni giovanili. Nel 1938/39 partecipa al
lavoro di assistenza per i bambini ebrei tedeschi che passano clandestinamente il confine.

Nel 1942 venne deportato nel campo (di transito) di Westerbork dove venne chiamato a far parte dell’amministrazione interna ebraica.

Nel gennaio 1944 – come “ebreo esperto in economia” – venne deportato a Bergen Belsen dove diventò sostituto dello “Judenaeltester/Anziano degli Ebrei”dello “Sternlager” (settore olandese). Essendo di madre lingua tedesca era ritento il più idoneo a parlare con il Commando SS. Quando nel Dicembre 1944 l’amministrazione autonoma ebraica venne soppressa, Weiss rimase tuttavia nell’amministrazione del Lager quale “esperto”.


Dopo la liberazione riuscì ad emigrare nel 1947 a Gerusalemme dove morì nel 1977.

Wolf Murmelstein                                                                                                    TOP